
mercoledì 04 dicembre 2013
ore 21
AQUILONI
due tempi di Paolo Poli
liberamente tratti da Giovanni Pascoli
con Paolo Poli
e con Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti, Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco
regia Paolo Poli
scene Emanuele Luzzati
costumi Santuzza Calì
musiche Jacqueline Perrotin
coreografie Claudia Lawrence
produzione Produzioni Teatrali Paolo Poli – Associazione Culturale
Aquiloni: allegoria del comporre poetico, giocattolo antico preindustriale che affettuosamente ci ricorda Giovanni Pascoli. Fino alla metà del Novecento la scuola italiana si nutrì della sua produzione. La critica letteraria a cominciare da Croce privilegiò le rime giovanili, fino a Contini che ne elogiò il plurilinguismo, a Pasolini che rilevò la dicotomia psicologica, per arrivare a Baldacci che ne curò la ricca antologia. Da Myricae e dai Poemetti lo spettacolo intende evocare la magia memoriale e la saldezza linguistica nelle figure contadine di un’Italia ancora gergale.
I floreali motivi della Bella Epoque accompagneranno gli ascoltatori nel ricordo del volgere del secolo.
Le scene sono sempre del grande Emanuele Luzzati, i costumi di Santuzza Calì, le musiche di Jacqueline Perrotin e le coreografie di Claudia Lawrence. Accanto a Paolo Poli quattro attori di vaglia e uno staff tecnico di prim’ordine.
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole […]
Molti, tra il pubblico, ricorderanno questi primi versi de l’Aquilone, alcuni anche per averli dovuti ricordare a memoria ai tempi della scuola insieme ad altri componimenti di Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 1855, Bologna 1912) di cui quest’anno ricorre il centenario della morte.
Il ventesimo secolo, e non solo, devono moltissimo a Pascoli, ad esempio che egli ha dato di rottura con la tradizione, di rifiuto delle norme, di libera rielaborazione del linguaggio, eppure nelle scuole e anche in molta parte della cultura il suo messaggio ideologico e poetico è stato spesso frainteso, costretto nei limiti del “pascoliamo” del lirico dei campi, dei buoni sentimenti, del conformismo piccolo borghese.
In Pascoli, il poeta del “fanciullino” che è in noi, che sa vedere nelle cose il nuovo, l’arcano scoprendolo anche nelle più umili e che solo lui riesce a scorgere, tutto può sembrare “ingenuo” ma non lo è: se mai è “decadente”, frutto di una percezione esasperata, se non morbosa, alimentata ed imbevuta di quella nuova sensibilità che, agli inizi del Novecento, si andava affermando in tutta Europa con il rifiuto della razionalità per attingere, come altro strumento di conoscenza, alla forza dell’intuizione, dell’emotività profonda e nascosta, delle visioni oniriche e dello scavo interiore.