1) È la prima volta che con Life sperimentate la pratica della residenza artistica? Come definireste quella di Artefici?

Si è la prima volta che affrontiamo una Residenza Artistica per LIFE. Quella di Artefici la definirei la Residenza perfetta. Perfetta sotto tutti i punti di vista. Per lo spazio concesso, per il tempo a disposizione, per la cura di ogni dettaglio, per la vicinanza della struttura in ogni momento, per il rigore logistico, per la professionalità che ci è stata messa a disposizione.

2) Com’è nata l’idea di questo spettacolo? Quali sono le motivazioni profonde e il processo che l’hanno generato?

E’ nata da un impulso personale, innanzitutto. Dalla voglia di affrontare diversi temi che si andavano ad inserire, come materia attratta da un buco nero, in un unico grande tema bifronte. Da una parte la Costrizione dell’essere umano in uno spazio limitato e limitante, e dall’altra Il Fondamentalismo di un ideale. Queste due rette hanno percorso un tragitto in solitudine e alla fine si sono congiunte diventando una cosa sola. Che poi è quello che accade fisicamente ai due personaggi sulla scena, che pur distanti per spazio e per tempo, alla fine, seppur in modalità completamente diverse, “condividono” lo stesso destino.

3) Sulla scena siete in due, eppure ciascuno è solo. Due monologhi che si intrecciano nella solitudine dei due personaggi: Roberto Peci e Ulrike Meinhof. Perché proprio loro?

Perché sono due esseri umani che hanno colpito in maniera molto profonda il mio immaginario fin da ragazzo. Perché sono due tragedie umane. Perché rappresentano un momento storico drammatico, disperato e vitale nello stesso tempo, della società occidentale. Perché la Meinhof è vittima di se stessa e delle proprie scelte, perché Peci è vittima delle scelte altrui e forse della propria ingenuità, ed entrambi, in maniera diversa, del fanatismo di un’idea. Perché tutti e due hanno avuto il tempo, chiusi in uno spazio da cui non potevano uscire, di fare i conti con se stessi. E fare i conti con se stessi, come tutti sappiamo, è tra le cose più difficili e violente per la vita di ogni essere umano.

4) Le due storie che avete portato in scena sono molto forti e le questioni che queste due vite aprono allo spettatore sono molteplici. Potete parlarcene un pò?

Ulrike Mainhof è una giovane donna borghese nella Germania Federale degli anni 60/70. E’ una giornalista molto apprezzata. Ha un marito. Due figlie piccole. Affianca da subito le proteste studentesche, per il Vietnam, per il riarmo della Germania. Le studia, ne scrive, ne parla in tv. Col tempo questa affinità diventa la sua ossessione al punto che abbandonerà marito e figlie per entrare in clandestinità e diventare una guerrigliera in opposizione allo stato tedesco. Viene trovata impiccata alla finestra di una cella a quarantadue anni dopo un lungo periodo di detenzione in un carcere speciale.

Roberto Peci è il fratello di Patrizio Peci, primo pentito delle Brigate Rosse. Viene sequestrato e tenuto prigioniero in un covo delle BR nella città di Roma. E dopo un processo popolare durato 54 giorni, e ripreso da una videocamera, viene condannato a morte per tradimento. Il suo corpo viene ritrovato abbandonato nella campagna romana. In quel momento ha 25 anni.

5) Avete fatto delle scoperte inattese attraverso questa residenza?

Posso dire che abbiamo scoperto molto grazie all’opportunità di questa residenza. Abbiamo scoperto la direzione in cui andare. Abbiamo scoperto, forse, quella in cui non andare. Siamo andati avanti, siamo tornati indietro. Ma la scoperta più sorprendente è stata quella di venire a conoscenza di una struttura che per davvero si prende la cura di un progetto che sceglie. Lo affianca, lo sostiene e lo stimola. Ed è moltissimo.

 

Foto di scena Giovanni Chiarot

 

Laura Pizzini