Intervista a Jacopo Neri, attore, regista e autore teatrale e cinematografico. “La parola magica” è uno spettacolo sulla memoria e sulla sua capacità di alterare la realtà a tal punto che questa diventa impossibile da conoscere fino in fondo.

La Parola magica / scheda residenza.

 

  1. È la prima volta che sperimenti la pratica della residenza artistica? Come definiresti quella di Artefici?
Sì, è la prima volta che partecipo a un bando di residenza e penso che quello di Artefici colga perfettamente l’anima di questo genere di progetti, ossia un’idea di laboratorialità, tipicamente contemporanea, in cui il corso del lavoro è più importante del prodotto finale; ci sono stati forniti luoghi, strutture e collaboratori ideali in questo senso, sempre all’insegna della libertà e dell’autonomia.
Approfitto per ringraziare ancora i responsabili tecnici, Giancarlo, Pietro e Matteo, e il nostro tutor, Mario Brandolin, che è venuto periodicamente a trovarci in teatro offrendo un punto di vista prezioso su ogni aspetto della messa in scena.

 

  1. La parola magica è un testo e uno spettacolo sulla memoria che mostra quanto essa sia in grado di modificare la realtà. Da dove nasce il tuo interesse per questa tematica e cosa vorresti comunicare al pubblico?
Nella scrittura di testi teatrali ciò che mi interessa è portare una situazione al limite. Con questa espressione non mi riferisco solo alle scelte e ai conflitti dei personaggi, ma anche ai paradossi, agli enigmi e alle ambiguità di senso che possono scaturire dalla trama.
Nel caso de “La parola magica”, la situazione portata al limite si può riassumere in questo estremo: una cosa esiste se ricordata e non esiste se dimenticata. I dolori che Vittorio ha inferto alla famiglia sono stati rimossi da tutti e tornano ad essere parte della realtà nel momento in cui Andrea e Sonia incautamente, per interesse, destano la sua memoria.

 

  1. Sei attore, ma anche regista e autore teatrale. Puoi raccontarci qualcosa di più sul processo creativo che sta dietro ai tuoi lavori, in particolare a questo spettacolo?
Posto che la primissima idea di un’opera viene “per caso” (da un insieme nebuloso di connessioni psicoemotive, biografiche e via dicendo), a livello di sviluppo io cerco di far parlare quante più voci possibile: tento cioè di scrivere non solo dal punto di vista dell’autore, ma anche da quello del regista e dell’attore. Penso che così, ponendosi in maniera bilanciata nella prospettiva di tutti e tre i mestieri, si ottenga un risultato più pienamente teatrale.

 

  1. Com’è stato lavorare con attori anche più grandi di te e con molti più anni d’esperienza alle spalle? 
Illuminante. La cosa che più ho amato nel modo di lavorare di Filippo Gili e Rossana Mortara, oltre all’abilità di due grandi professionisti, è l’equilibrio perfetto tra la parte teorica e quella pratica. Insieme a loro io, Mariachiara Di Mitri e Giorgia Remediani abbiamo sperimentato cosa vuol dire essere sempre, dal primo all’ultimo giorno di prove, attivi criticamente e al contempo pronti ad agire in vista del risultato.

 

  1. Hai fatto delle scoperte inattese attraverso questa residenza?

Penso di aver imparato come mai prima d’ora le virtù della condivisione, del confronto e, soprattutto, della gestione di un tempo di lavoro breve ma incredibilmente denso e stratificato.

 

Foto di Giovanni Chiarot / Zeroidee

 

FOTO BACKSTAGE

FOTO DI SCENA

 

Laura Pizzini