
Come definiresti l’esperienza della residenza artistica ARTEFICI?
Molto immersiva. Il fatto di essere seguiti da un gruppo strutturato e organizzato fa sì che sia possibile concentrarsi intensamente sul proprio progetto creativo. Una sensazione di protezione fatta di spazi di lavoro molto ben organizzati, attenzione alle necessità del gruppo, cura nel seguire il momento di restituzione pubblica che ti fanno sentire nel posto giusto. Non ultimo il fatto di lavorare in un territorio che favorisce la concentrazione, soprattutto per chi come me viene da una grande e caotica città. La giornata di Synapsi infine da la possibilità di un confronto attivo con gli artisti coinvolti nel progetto di Residenza; ascoltare le esperienze degli altri ed i loro percorsi è un momento di studio importante che riverbera sul proprio lavoro nei giorni seguenti l’incontro.
Quali tematiche affronta il tuo progetto e cosa lo rende importante per te?
Il tema del lavoro si può riassumere così: una indagine sulla posizione del pubblico all’interno dello spettacolo dal vivo. Il nostro progetto si basa su una relazione orizzontale fra pubblico e performer, mettendo entrambi in relazione con un medesimo tema, in uno spazio comune che annulla la distanza e contraddice la consueta relazione fra performer e spettatore. Il fatto che il tema sia quello della paura del giudizio degli altri contribuisce a mettere tutti sullo stesso piano e, in quanto tema principe per gli attori, li spinge ad una rielaborazione in tempo reale della loro relazione con l’errore.
Molte cose rendono questo tema importante per me, perchè sono alla ricerca, nella mia pratica di regista non meno che in quella di pedagogo, di un modo inedito di coltivare fascino e carisma nell’attore, in relazione con il mondo contemporaneo e con una diversa sensibilità espressa dal pubblico. Immagino che questo sia un importante argomento di riflessione riguardo alla perdita di centralità del teatro nella società contemporanea.
Quali pratiche hai/avete utilizzato per il processo creativo durante questi giorni di residenza?
Abbiamo soprattutto cercato di indagare quella zona comunicativa che risiede nella ricerca di una relazione orizzontale (come se il pubblico fosse un partner di scena) e per far ciò abbiamo lavorato molto sull’azione verbale utilizzando le strutture presenti nel testo di Chris Thorpe. Quella ‘zona’ è ciò che maggiormente mi interessa, perchè è ciò che vibra dietro la drammaturgia contemporanea più vitale. Sento emergere la possibilità di un attore in qualche modo nuovo, capace di comprendere quella vibrazione così da attraversarla con competenza e sensibilità perchè nuova drammaturgia possa crescere e svilupparsi.
Il momento più faticoso che hai/avete vissuto durante la residenza?
Il momento più faticoso è stato quello che ha seguito la restituzione pubblica. Abbiamo fatto notevoli scoperte in quel momento che mi/ci hanno messo in crisi. Da una parte eravamo confortati che molte cose avessero funzionato ma personalmente sentivo come mancasse qualcosa di sostanziale nel rapporto con la platea. In qualche modo lo spostamento dell’equilibrio performativo aveva indebolito la posizione di gioco dell’attore, costringendo, per riacquistare sostanza, a un cambio di paradigma. Ho cioè sentito in quanta retorica sia imprigionata questa relazione mettendomi addosso una gran voglia di andare fino in fondo. E’ cominciato quindi da allora un percorso di studio e di riflessione che ha ancora bisogno di tempo per essere indagato.
La scoperta più sorprendente che hai/avete fatto?
E’ stato sorprendente, durante la restituzione, rendermi conto di quanto il fatto di spostare il fuoco dell’azione sul pubblico renda i partecipanti al game il vero punto di interesse della performance. Lo sconvolgimento di un equilibrio prestabilito era nelle intenzioni, ma vedere quanto in questo modo cambi il gioco dell’attore è stato stupefacente. Mi è venuta in mente la performance che il gruppo dei Rimini Protokol ha presentato al Roma Europa Festival nel 2021 dal titolo ‘La Conferenza degli Assenti’. Gli Assenti in questione erano in quel caso gli ‘attuanti’, cioè i relatori di conferenze su molteplici temi che, per i più diversi motivi, non erano presenti e lasciavano a membri del pubblico il compito di leggere pubblicamente i loro interventi. Si trattava come è ovvio di una operazione molto diversa dalla nostra ma che ha in comune con il nostro esperimento la sostanziale tensione a creare un legame del tutto particolare fra il pubblico e la performazione. Di lasciare cioè al pubblico il riappropriarsi della propria centralità, al posto di una lateralità passiva alla quale è stato a lungo relegato e della cui morbosità il teatro potrebbe anche morire.
Quale sarà il prossimo step per il progetto?
E’ previsto un secondo momento di lavoro in tarda primavera 2023.
Foto di Giovanni Chiarot


